Quattro giorni di viaggio; tre città visitate (Durazzo, Tirana, Elbasan); 1.800 chilometri percorsi.

Ma anche 700 chilogrammi di pet food distribuiti, oltre ad antiparassitari, integratori, vermifughi e terapie per la cura e la prevenzione della leishmaniosi (“la leishmania è una patologia che uccide moltissimi cani, non solo Oltreadriatico, spiega il veterinario Enpa Meir Levy).

Intensa anche l’attività di supporto veterinario con consulenze mediche su ben 15 cani. Si è chiusa così, nei giorni scorsi, la settima missione dell’Enpa in Albania (la prima è del dicembre 2014) organizzata da Marco Bravi, presidente del Consiglio Nazionale di Enpa e, appunto, da Meir Levy.

Cibo e medicinali, certo. Ma non solo. Perché il vero obiettivo di Enpa non era tanto quello di portare aiuti materiali (di cui comunque in Albania c’è sempre grande bisogno); era, invece, quello di promuovere la creazione di una rete di volontari in grado di intervenire in maniera coordinata sul territorio.

«La situazione dell’Albania è drammatica.

Ad affrontarla sono soprattutto i volontari che, tra mille difficoltà e con pochi mezzi, cercano di fare il possibile aiutare i tanti, troppi randagi che vivono nelle campagne e nella città albanesi», spiega Marco Bravi.

«In questo contesto – prosegue il presidente del Consiglio Nazionale di Enpa – anche un rifugio di fortuna, improvvisato, può fare la differenza tra la vita e la morte di un animale».

Così come la possono fare i molti volenterosi che, di propria iniziativa e senza alcun supporto delle istituzioni, si impegnano quotidianamente per alleviare la condizione di grave sofferenza di cani e gatti animali senza famiglia.

Ci sono Tina e Miriam, mamma e figlia, che a Durazzo hanno trasformato i capannoni di una fabbrica dismessa in rifugio per randagi. Poi c’è Mimosa, di Tirana. Mimosa è gravemente malata ma continua comunque a prendersi cura dei suoi trenta gatti.

E c’è anche chi, come Indrit, è riuscita a creare un vero paradiso per i quattro zampe senza famiglia, a Tirana; una struttura dove vivono circa trenta cani in condizioni più simili agli standard italiani che a quelli albanesi.

«Dalla nostra prima missione in Albania, era il 2014, c’è stato qualche miglioramento. Ma, considerando la situazione di vera emergenza, è ancora troppo poco. Ad affrontarla, in prima linea, sono soprattutto i volontari, spesso lasciati da soli.

Per questo – conclude Meir Levy – è fondamentale fare rete; favorire cioè la condivisione delle esperienze e della competenze, innescare un circolo virtuoso basato sull’aiuto reciproco.

Con pet food e medicinali, interveniamo sul presente; con la creazione di una rete di volontari attivi gettiamo le basi per un futuro migliore. Anche per gli animali».