Camillo Sbarbaro e paese

Un botanico e poeta dalla Liguria del primo Novecento…

Camillo Sbarbaro nacque a Santa Margherita Ligure il 12 gennaio 1888 e, dopo la morte della madre Angiolina, fu la zia Maria, detta Benedetta, a prendersi cura di lui e della sorella minore Clelia.

Nel 1895 la famiglia si trasferì a Varazze, dove il giovane Camillo terminò il Ginnasio nell’istituto dei Salesiani e nel 1904 a Savona, al liceo Gabriello Chiabrera, conobbe lo scrittore Remigio Zena, che lo incoraggiò a scrivere.

Camillo si diplomò nel 1908 e due anni dopo cominciò a lavorare in un’industria siderurgica di Savona. Nel 1911 arrivò l’esordio nella poesia, con la raccolta “Resine”, e, contemporaneamente, il trasferimento a Genova.

L’evoluzione della sua poetica è in Pianissimo, pubblicata per un editore di Firenze nel 1914, dove il poeta si chiede se esiste davvero l’oblio, che divenne il tema ricorrente della poesia di Sbarbaro.

In seguito il poeta collaborò a riviste letteraria d’avanguardia, come La Voce, Quartiere latino e La riviera ligure, diventando amico di Ardengo Soffici, Giovanni Papini, Dino Campana, Ottone Rosai e altri artisti e letterati che collaborano con la rivista.

All’inizio della Prima Guerra Mondiale, Sbarbaro si arruolò come volontario nella Croce Rossa Italiana, rientrato dal conflitto, scrisse le prose di Trucioli, nel 1920, e otto anni dopo Liquidazione.

E’ in questo periodo che Eugenio Montale notò la sua opera, in una recensione di Trucioli che comparve su L’Azione di Genova, nel novembre del 1920.

Da lì cominciò una grande storia di un’amicizia, dove Montale fece prendere a Sbarbaro coscienza della propria capacità letteraria.

Nel frattempo avviò una collaborazione con La Gazzetta di Genova, oltre ad insegnare greco e latino a scuola.

In questo periodo osteggiò il movimento fascista.

Di lì a poco il poeta dovette rinunciare al suo posto da insegnante presso i Gesuiti genovesi e la censura bloccò una sua opera, Calcomania, episodio che segnò l’inizio del suo silenzio, che fu rotto solo nel dopoguerra.

Nel Ventennio continuò a impartire lezioni gratuite di lingue antiche ai giovani studenti, ma, soprattutto cominciò a dedicarsi alla botanica, altro suo grande amore e la passione e lo studio per i licheni lo accompagnò per tutto il resto della sua vita.

Nel 1951 Camillo si ritirò con la sorella a Spotorno, dove riprese le pubblicazioni con l’opera Rimanenze, dedicata alla zia Benedetta, con la ripresa di un modo di poetare antecedente a Pianissimo, molto accurato e ineffabile.

Scrisse anche diverse prose, come Fuochi fatui, del 1956, Scampoli, del 1960, Gocce e Contagocce del 1963 e del 1965, e Cartoline in franchigia del 1966.

E’ soprattutto alle traduzioni che Sbarbaro si dedicò in quest’ultimo periodo della sua vita, con i classici greci di Sofocle, Euripide ed Eschilo, oltre che a Flaubert, Stendhal e Balzac.

Riprese anche le sue lezioni botaniche con il sostegno di studiosi di tutto il mondo, oltre a scrivere poesie dedicate alla Liguria.

Minato nel fisico, Camillo Sbarbaro morì all’Ospedale San Paolo di Savona il 31 ottobre 1967, a 79 anni.