Il piatto tipico di Vercelli e Novara è un risotto, ma di certo questo non esisterebbe senza un salume: sia la panissa vercellese che la paniscia novarese, infatti, hanno tra gli ingredienti essenziali il salame della duja.

Un salume che racconta la tradizione antica delle campagne dell’Alto Piemonte, dove chi viveva in campagna viveva il rito dell’uccisione del maiale come una festa, poiché sfamava per un anno intero tutta la famiglia.

Tutte le parti del maiale erano utilizzate, compresi il sangue e il grasso: per avere una conservazione garantita, senza frigorifero, il mettere “sotto grasso” in grandi vasi detti “duja” era la soluzione ottimale.

Ecco che ne deriva un salame dolcissimo e morbidissimo, che ha come variante la presenza o meno di fegato all’interno dell’impasto (in questo caso si chiama fidighina).

In tutta l’area delle risaie abbiamo anche un’altra tradizione antica: quella del carpione. Ci si fa la carne, impanata, rosolata e poi marinata, oppure il pesce, in particolare le trote o, da qui il nome, le carpe.

Sì perché la tradizione del carpione arriva proprio dai pesci utilizzati in risaia come “insetticidi naturali”, pesci che nuotavano in acque molto basse e fangose.

Il carpione, marinatura fatta sminuzzando finemente abbondanti salvia e aglio in aceto e, secondo alcune varianti, vino bianco, serviva infatti per permettere alla carne e al pesce una conservazione lunga, ma soprattutto (nel caso del pesce di risaia) per coprire il retrogusto “di terra”.

Lo troviamo anche in altre regioni d’Italia con altri nomi: qui il nome è davvero “parlante”!

Per rimanere in tema di pesce, sia il Lago Maggiore che il Lago d’Orta hanno una tradizione legata al pesce di lago, in particolare le arborelle fritte (che si mangiano rigorosamente intere, con testa coda e lische, ma tranquilli, sono piccolissime!) e il filetto di persico, spesso impanato, fritto e servito sopra a un buon risotto.

Se ci spostiamo nel Cusio, sulle verdi colline del Lago d’Orta, ci addentriamo invece nella tradizione e leggenda della ricetta del Tapulone: secondo il racconto, tredici pellegrini di ritorno da Orta San Giulio si fermarono a Borgomanero e, avendo esaurito le provviste alimentari, cucinarono un asinello che avevano al seguito, spezzettando finemente la carne e cuocendola a lungo nel vino.

Oggi ne esistono versioni diverse, ma la regola è quella di avere la carne non macinata (quelli sono i brusciti, di bovino!), ma battuta al coltello o spezzettata irregolarmente. Con cosa lo si accompagna? Il 99% delle volte con la polenta!

Spostandoci nel Biellese, i salumi la fanno da padrone: sono imperdibili la Mocetta (carne salata e stagionata, ricavata da magatelli di bovino adulto e marinata con erbe e sapori delle montagne, come ginepro, rosmarino e salvia), la Paletta Biellese (ottenuta con le parti più pregiate della spalla di maiale, aromatizzata con erbe, bacche e aromi e massaggiata a mano ogni giorno per circa un mese) e gli insaccati di selvaggina (di solito capra, capriolo, cervo e cinghiale, con differenti speziature).

Sulle montagne dell’Ossola la tradizione non è diversa, troviamo infatti la Bresaola Ossolana (carne magra bovina salata e stagionata a lungo), il Lonzino stagionato (una sorta di piccola bresaola di maiale), il Crudo di Vigezzo, la Culatta Vigezzina e il Lardo Vigezzino (rispettivamente un prosciutto crudo affumicato, un prosciutto crudo dolce e un lardo aromatizzato al rosmarino e alloro).

La Valsesia, che nella sua parte bassa ha insaccati tradizionali simili a quelli biellesi e ossolani (la Mocetta Valsesiana e il lardo), nelle sue aree Walser ha l’antica ricetta delle Uberlekke, con carne di pecora, capra, montone e manzo (e in passato… marmotta!) conservate sotto sale e aromi per due settimane e poi cotte con patate, rape e carote.

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