sanificare

Il virus della Covid-19 si diffonde principalmente tramite i droplet, goccioline rilasciate con i colpi di tosse, gli starnuti, o quando si parla ad alta voce o si canta, come è stato dimostrato da diversi focolai di contagio innescati nei mesi scorsi.

Per le loro dimensioni, i droplet viaggiano nell’aria per brevi distanze, generalmente inferiori a un metro: dunque è molto importante osservare il distanziamento fisico e altrettanto fondamentale lavare frequentemente le mani, oltre che coprire la bocca con un fazzoletto o con la piega del gomito quando si starnutisce o si tossisce.

I droplet possono anche depositarsi su oggetti o superfici che possono quindi diventare fonte di diffusione del virus. Infatti, in questo caso, toccare oggetti contaminati può costituire veicolo di trasmissione per contatto indiretto se successivamente tocchiamo bocca, naso e occhi.

Premesso che il lavaggio delle mani costituisce sempre il punto cardine di una corretta prevenzione, la pulizia regolare seguita dalla disinfezione delle superfici e degli ambienti interni riveste un ruolo cruciale nella prevenzione e nel contenimento della diffusione del virus [1].

Vuol dire che il virus resta a lungo sulle superfici?

Le evidenze scientifiche al momento disponibili indicano che il tempo di sopravvivenza del virus sulle superfici è strettamente correlato al tipo di superficie considerata (come abbiamo spiegato nella scheda “Il SARS-CoV-2 sopravvive a lungo sulle superfici?”).

Il recente rapporto dell’Istituto superiore di sanità (ISS) riguardo le raccomandazioni per sanificare strutture non sanitarie nell’attuale emergenza Covid-19 (superfici, ambienti interni e abbigliamento) e la circolare 22 maggio 2020 del Ministero della Salute riportano i tempi di rilevazione di particelle virali sulle superfici più comuni, variabili da alcune ore fino a diversi giorni [1,2].

Dal rapporto dell’ISS è interessante evidenziare i tempi di permanenza del virus sulle banconote (da 2 a 4 giorni) e sulle mascherine chirurgiche: nello strato interno da 4 a 7 giorni, nello strato esterno da 7 giorni a “non determinato”.

Anche l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) conferma che “gli studi hanno dimostrato che il virus della Covid-19 può sopravvivere fino a 72 ore su plastica e acciaio inossidabile” [3], anche se la carica infettiva sui suddetti materiali si dimezza rispettivamente dopo circa 6 e 7 ore.

Le superfici sulle quali si ha una minore persistenza sono il rame e il cartone, dove è stato osservato un abbattimento completo dell’infettività dopo 4 ore per il rame e 24 ore per il cartone [1].

Tuttavia, chiarisce il Ministero della Salute, bisogna considerare che i dati finora disponibili, essendo generati da condizioni sperimentali, devono essere interpretati con cautela, tenendo anche conto del fatto che il rilevamento della presenza di RNA virale (del SARS-CoV-2) non indica necessariamente che il virus sia vitale e potenzialmente infettivo [4].

Dottore, cosa è importante fare in uno spazio comune?

Le organizzazioni coinvolte nell’emissione di linee guida per la prevenzione in questa fase emergenziale – il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (European centre for disease prevention and control), quello statunitense (Centers for disease control and prevention) e l’OMS – indicano tre punti fermi per il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2:

  1. garantire sempre ventilazione e ricambio d’aria adeguati;
  2. pulire accuratamente con acqua e detergenti neutri superfici, oggetti, ecc.;
  3. disinfettare con prodotti adatti, registrati e autorizzati.

In considerazione della potenziale capacità del virus SARS-CoV-2 di sopravvivere sulle superfici, è buona norma procedere frequentemente e accuratamente a sanificare (pulizia e/o disinfezione) le superfici.

Queste operazioni devono essere tanto più accurate e regolari per superfici ad alta frequenza di contatto (maniglie, interruttori, servizi igienici, scrivanie, cellulari, tablet, personal computer, occhiali); per i condizionatori presenti nei luoghi pubblici (ne abbiamo parlato nel dettaglio nella scheda “Il condizionatore va sanificato per non rischiare Covid-19?”); infine, nel caso vi sia in famiglia un caso sospetto o confermato di persona affetta da Covid-19 [5].

Le linee guida internazionali indicano che la pulizia con acqua e normali detergenti neutri associata all’utilizzo di comuni prodotti disinfettanti è sufficiente per la decontaminazione delle superfici [1].

Davvero sanificare le superfici “uccide” il virus?

L’utilizzo di semplici disinfettanti è in grado di uccidere il virus annullando la sua capacità di infettare le persone. Con l’espressione “semplici disinfettanti” intendiamo per esempio quelli contenenti alcol (etanolo) o ipoclorito di sodio (candeggina/varechina).

A chiarire l’efficacia è anche Juan Leon, esperto di salute ambientale presso l’Università di Emory (Atlanta, Georgia), in un’intervista rilasciata alla rivista scientifica Science, affermando che “studi precedenti mostrano che i disinfettanti domestici comuni, incluso il sapone o una soluzione di candeggina diluita, possono disattivare i coronavirus sulle superfici interne [6].

I coronavirus sono virus avvolti da uno strato di grasso protettivo”, afferma Leon. I disinfettanti, spiega, distruggono lo strato di grasso, il che rende i coronavirus “abbastanza deboli” rispetto ad altri virus comuni che hanno un guscio proteico più robusto (per esempio i norovirus, che causano la forma più comune di gastroenterite acuta).

In generale, è stato dimostrato che disinfettanti a base di alcol o ipoclorito di sodio, ma non solo, sono in grado di ridurre significativamente il rischio di contagio da virus dotati di “involucro” come il SARS-CoV-2.

Oltre alla pulizia accurata, è altrettanto importante sanificare gli ambienti rinnovando frequentemente l’aria al loro interno [1].

Dottore, è utile anche sanificare gli spazi all’aperto?

No, è necessario mantenere le pratiche di pulizia e igiene esistenti ordinariamente per le aree esterne, che non richiedono una specifica disinfezione.

Alcune aree esterne e strutture, come bar e ristoranti, possono richiedere azioni aggiuntive, come ad esempio la disinfezione delle superfici dure quali tavoli, sedie, sedute all’aperto e oggetti spesso toccati da più persone.

Non ci sono evidenze scientifiche che dimostrino che spruzzare il disinfettante sui marciapiedi e nei parchi riduca il rischio di Covid-19 per il pubblico, mentre rappresenta un grave danno per l’ambiente [2].

Inoltre, tornando a citare lo scienziato intervistato da Science, Juan Leon: “Nessuno va in giro a leccare marciapiedi o alberi” [6].

Ci potrebbero essere conseguenze negative anche per le persone?

Potrebbero esserci delle conseguenze pericolose nella eccessiva e troppo zelante disinfezione di ambienti esterni con la candeggina, come osserva Julia Silva Sobolik, ricercatrice nello stesso laboratorio di Leon.

“La candeggina è altamente irritante per le mucose”, spiega. Ciò significa che i lavoratori impiegati nelle operazioni necessarie per sanificare rischiano di andare incontro a problemi respiratori, tra gli altri disturbi. Sobolik cita a tal proposito uno studio dell’ottobre scorso pubblicato sul JAMA Network Open che ha evidenziato che gli infermieri che usavano regolarmente disinfettanti per pulire le superfici erano a maggior rischio di sviluppare la malattia polmonare ostruttiva cronica [6].

L’ISS ritiene importante sottolineare che esistono informazioni contrastanti circa l’utilizzo di ipoclorito di sodio e la sua capacità di distruggere il virus su superfici esterne (strade) e in aria.

In Cina l’uso estensivo di prodotti chimici per le strade è stato effettuato prima di osservare l’attuale decremento dei casi di contagio, ma lo stesso China’s Center for Disease Control and Prevention ha avvertito il pubblico che “le superfici esterne, come strade, piazze, prati, non devono essere ripetutamente cosparse con disinfettanti poiché ciò potrebbe comportare inquinamento ambientale e dovrebbe essere evitato”.

Infatti l’uso di sodio ipoclorito – sostanza corrosiva per la pelle e dannosa per gli occhi – per la disinfezione delle strade, potrebbe essere associato a un aumento di sostanze pericolose nell’ambiente con conseguente esposizione della popolazione.

Il sodio ipoclorito, in presenza di materiale organici presenti sul pavimento stradale, potrebbe dare origine a formazione di sottoprodotti estremamente pericolosi (quali clorammine e trialometani e altre sostanze cancerogene) [7].

Che differenza c’è tra igienizzare, disinfettare e sanificare?

Sono tre parole dal significato assai diverso come conferma anche il decreto ministeriale n. 274 del 1997 che disciplina le attività di igienizzazione (di fatto sinonimo di detersione), disinfezione, disinfestazione, derattizzazione e sanificazione [8].

Le prime – le attività di igienizzazione – sono volte a rimuovere polveri e sporcizia da oggetti e ambienti: in pratica, serve a rendere igienico, ovvero pulire l’ambiente eliminando le sostanze nocive presenti.

Spiega il Ministero della Salute che “i prodotti senza l’indicazione dell’autorizzazione del Ministero della Salute che riportano in etichetta diciture sull’attività (ad esempio contro germi e batteri), non sono prodotti con attività disinfettante dimostrata ma sono semplici detergenti per l’ambiente (igienizzanti)” [8].

La disinfezione, invece, è l’insieme dei procedimenti che hanno come obiettivo quello di rendere sani e sicuri degli ambienti o delle aree distruggendo o rendendo inattivi i microrganismi patogeni che possono essere presenti: in altre parole, la finalità è abbattere la carica microbica di ambienti, superfici e materiali e, spiega il Ministero della Salute, va effettuata utilizzando prodotti disinfettanti (biocidi o presidi medico chirurgici) autorizzati.

Questi prodotti devono obbligatoriamente riportare in etichetta il numero di registrazione/autorizzazione.

Il termine “biocida” indica qualsiasi sostanza o composto di sostanze capace di distruggere, eliminare e rendere innocuo, impedire l’azione o esercitare altro effetto di controllo su qualsiasi organismo nocivo, con qualsiasi mezzo diverso dalla mera azione fisica o meccanica.

Sanificare, infine, è descritto sempre dal Ministero della Salute come “un complesso di procedimenti e operazioni di pulizia e/o disinfezione e comprende il mantenimento della buona qualità dell’aria anche con il ricambio d’aria in tutti gli ambienti” [8].

L’ozono sterilizza aria e ambienti?

Le raccomandazioni del gruppo di lavoro dell’Istituto Superiore di Sanità hanno ammesso “l’efficacia microbicida dell’ozono anche sui virus” [1]: allo stato attuale, però, non può essere presentato (e pubblicizzato) come un disinfettante ma solo come un sanitizzante.

Le indicazioni del gruppo di esperti dell’ISS sono state raccolte e fatte proprie dal Ministero della Salute, nel sito del quale si legge [9]: “Le sue proprietà, note in letteratura scientifica e già applicate in alcuni settori, non sono al momento sufficienti a garantirne l’adeguatezza dello specifico uso tecnologico come disinfettante, in quanto deve essere sottoposto a prove di efficacia e di sicurezza (potenziali effetti collaterali da scorretto uso o concentrazione inappropriata).

Rimane la possibilità di un uso per sanificare, inteso come intervento di pulizia approfondita incluso in un contesto generale di ottimizzazione delle misure igieniche e microclimatiche, realizzato da parte di personale appositamente formato e adeguatamente protetto”.

Nel documento sull’utilizzo professionale dell’azoto, uscito il 23 luglio a cura del gruppo di lavoro ISS-INAIL, nella parte relativa alla Covid-19, si legge che “l’applicazione dell’ozono per la sanificazione può essere utile in diversi contesti ambientali.

Tuttavia, in relazione alle sue proprietà pericolose e ai rischi associati, i generatori di ozono andrebbero utilizzati previa opportuna valutazione del rischio e adottando adeguate misure organizzative in modo da effettuare in totale sicurezza il processo di sanificazione”.

Per questo, concludono, è sconsigliato l’impiego in ambito domestico da parte di operatori non professionali [10].

Bibliografia

FONTE: FNMOCeO