Forte e coraggiosa, Anna Banti ebbe un ruolo di primo piano nella letteratura italiana del Novecento, grazie anche al supporto del suo compagno, il critico d’arte Roberto Longhi.

Anna Banti, pseudonimo di Lucia Lopresti, nacque a Firenze il 27 giugno 1895 da una famiglia di origine calabrese.

Incoraggiata agli studi umanistici dal padre Vincenzo, avvocato, durante gli anni del liceo Visconti a Roma la ragazza incontrò il critico d’arte Roberto Longhi, che sposò nel 1924.

Dopo la laurea in Lettere presso l’Università La Sapienza con una tesi su Marco Boschini, poeta del Seicento, Lucia fece il suo debutto nel 1919 nel ruolo di critica d’arte, con alcuni scritti sulla rivista L’Arte, diretta da Adolfo Venturi, relatore della sua tesi di laurea.

Da una prosa di memoria Lucia passò poi alla narrativa, unendo a una raffinatissima scrittura l’analisi sociale della condizione femminile.

La scrittrice scelse di usare lo pseudonimo di Anna Banti nel 1937 con la pubblicazione di Itinerario di Paolina, raccolta di prose autobiografiche recensita da Goffredo Bellonci sul Giornale d’Italia.

Alla raccolta di racconti Il coraggio delle donne (1940), seguirono il primo romanzo, Sette lune (1941) e le prose di Le monache cantano (1942).

Nel 1944 era pronto il romanzo Artemisia, la storia della pittrice Artemisia Gentileschi, ma il manoscritto fu perduto durante il bombardamento che distrusse la casa fiorentina di Borgo San Jacopo e l’opera uscì solo nel 1947, cinque anni prima dell’uscita dell’altro capolavoro della Banti, il racconto Lavinia fuggita, incluso nella raccolta Le donne muoiono, poi vincitrice del premio Viareggio nel 1952.

Nel dopoguerra la Banti fondò nel 1950, con Roberto Longhi, la rivista Paragone, dove curò la sezione letteraria e apparvero regolarmente i suoi interventi di critica letteraria e cinematografica, di cui parte venne raccolta nel volume Opinioni (1961) mentre su quotidiani e settimanali pubblicava articoli di costume.

Nel 1953 uscì il romanzo Il bastardo, poi ristampato col titolo La casa piccola nel 1961.

Dalla metà degli anni Cinquanta la scrittrice ebbe prestigiosi riconoscimenti critici, nel 1955 il premio Marzotto con Allarme sul lago, nel 1957 il premio Veillon per La monaca di Sciangai e altri racconti e nel 1967 il premio Asti d’appello per Noi, credevamo, romanzo storico di argomento risorgimentale, nel 1972 il premio Bagutta per Je vous écris d’un pays lontain, nel 1973 il premio D’Annunzio per La camicia bruciata, nel 1974 il premio il Ceppo per il racconto Tela e cenere, poi nella raccolta Da un paese vicino (1975).

Gli interessi verso la critica d’arte della Banti sono ben illustrati dai numerosi saggi pubblicati tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, come gli studi dedicati a Lorenzo Lotto, Fra Angelico, Diego Velázquez, Claude Monet e Giovanni da San Giovanni.

Nel 1981 la scrittrice raccolse nel volume Quando anche le donne si misero a dipingere, una serie di ritratti di pittrici, poi presiedette la Fondazione di Studi di Storia dell’arte Roberto Longhi.

Da sempre interessata alla letteratura straniera, la Banti tradusse opere di autori come Jane Austen, Jack London, William Thackeray, Virginia Woolf, André Chastel e Colette.

Anna Banti morì il 2 settembre 1985, quattro anni dopo aver pubblicato il suo ultimo romanzo Un grido lacerante, autobiografica riflessione sulla sofferenza della condizione umana, vista attraverso la storia del suo rapporto con Roberto Longhi, scomparso nel 1970.