Dieci anni fa Angelo Crespi fondò il Maga, diventandone il primo presidente e adesso torna al museo d’arte contemporanea di Gallarate curando la mostra Eyes Wide Shut di Elisa Anfuso, aperta dal 6 al 27 ottobre, mentre l’inaugurazione è prevista per sabato 5 ottobre alle 18.

L’esposizione vede una decina di opere dell’artista siciliana, con un’atmosfera tra la realtà e la finzione, dove si muovono esclusivamente donne e adolescenti in pose a effetto, su un fondale che rivela una natura indifferente o su sfondi bianche e architetture cinquecentesche appena accennate.

Formatasi all’Accademia delle Belle Arti di Catania, dove vive, Elisa Anfuso ha conseguito la specializzazione con l’abilitazione all’insegnamento delle Discipline Pittoriche e nel 2005 l’artista ha condensato tutte le sue esperienze per un linguaggio con la leggerezza del segno dei pastelli combinato alla pienezza della materia pittorica.

Nel 2010 è tra i vincitori del premio internazionale Arte Laguna, finalista al Premio Combat, riceve una menzione in occasione del Premio Celeste e vince il concorso Subway Edizioni.

Un anno dopo è tra i finalisti del Premio Arte Mondadori, mentre le sue interviste e recensioni artistiche sono in numerosi cataloghi e in prestigiose riviste.

Elisa partecipa a mostre e fiere d’arte contemporanea, sia collettive che personali ed espone a Vienna, Praga, New York e Miami e in diverse città italiane, con le sue opere presenti in numerosi cataloghi e collezioni pubbliche e private.

Dal 2013 collabora con la Liquid art system, dove ha conseguito la piena attenzione e l’interesse di numerosi collezionisti nazionali e internazionali.

La Anfuso cura molto i suoi dipinti, dagli abiti, semplici ma anche pesanti di pizzi e merletti, alle acconciature elaborate, dagli animaletti, agli oggetti, ai dolci, che paiono usciti fuori dalle pagine di una fiaba.

Cosi le sue adolescenti e donne mantengono una carica erotica, che rivelano certi turbamenti infantili, ma nella fredda compostezza della linea, dove le sensazioni vengono incanalate, ricondotte nell’alveo della normalità.

Il titolo della mostra, riprende l’omonimo film di Stanley Kubrick (1999) tratto a sua volta dalla novella Doppio sogno di Arthur Schnitzler (1925/26) con uno sguardo contemporaneamente rivolto verso l’esterno e verso l’interno.