La grande abbazia di Lucedio, nel cuore delle campagne del Vercellese, immersa in un verde incontaminato, è una vera sorpresa.

Un sito che pur non lontano dalle città, forse non è molto conosciuto, e che invece riluce di una bellezza davvero insolita, una cura meticolosa, un ordine che lascia stupiti coloro che come me, giungono davanti al suo cancello quasi per caso.

Questo grande complesso fu fondato nel 1123 da alcuni monaci cistercensi provenienti dal monastero di La Ferté a Chalon-sur-Saône, in Borgogna, sui terreni del marchese Ranieri I del Monferrato della dinastia degli Aleramici, caratterizzati dalla presenza di zone paludose e d’incolte boscaglie.

L’abbazia era all’inizio una struttura fortificata e assunse la denominazione di Abbazia di Santa Maria di Lucedio.

Nel corso del XII, XIII e XIV secolo la sua fama crebbe costantemente, per merito di abati che unirono felicemente spiritualità e fervore di opere, come il beato Oglerio da Trino che governò dal 1205 al 1214.

Inoltre l’abbazia ebbe un ruolo di primo piano nella storia del Marchesato del Monferrato, infatti, molti marchesi decisero di farne il luogo del loro riposo oltre la vita.

Il patrimonio terriero dell’abbazia si estendeva ben oltre le terre prossime al monastero, comprendendo gli appezzamenti dislocati in un’area tra il Monferrato e il Canavese, con un sistema di gestione che si basava sulla suddivisione dei possedimenti del monastero in grange, a capo di ciascuna però non c’era un monaco, ma un converso che doveva far fruttare la grangia.

I conversi, che coordinavano il lavoro dei liberi contadini salariati, rispondevano a loro volta al cellerario, un monaco che curava, per conto dell’abate, l’amministrazione dell’intera abbazia.

Nel 1457, con una breve di papa Callisto III, il monastero divenne una Commenda, posta sotto il patronato dei Paleologi, marchesi del Monferrato.

Con la fine della dinastia dei Paleologi, il feudo passò ai Gonzaga, subentrati a Casale nella reggenza del Monferrato; mentre i Savoia avevano iniziato ad avanzare dei diritti sul monastero, ma solo nel 1707 ci riuscirono.

Nel 1784, dopo un periodo di attriti con la diocesi di Casale per la nomina dell’abate commendatario, l’abbazia fu secolarizzata e le sue grange divennero parte della Commenda Magistrale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, mentre i monaci cistercensi, ormai una decina, furono trasferiti a Castelnuovo Scrivia.

Fu nel 1792 che l’Ordine di San Maurizio conferì la commenda al duca Vittorio Emanuele I di Savoia, ma subito dopo il monastero cadde nei decreti napoleonici di soppressione degli ordini religiosi.

Napoleone cedette la proprietà di Lucedio a Camillo Borghese, come un parziale risarcimento delle collezioni d’arte che gli erano state requisite a Roma.

Con la fine dell’impero, ci fu una disputa tra Camillo Borghese e i Savoia sul possesso di Lucedio. Alla fine le proprietà vennero divise in lotti e cedute a varie personalità locali, come il padre di Camillo Benso, conte di Cavour.

Il complesso di Lucedio passò sotto il controllo del Marchese Giovanni Gozzani di San Giorgio che nel 1861 cedette la tenuta al duca genovese Raffaele de Ferrari di Galliera, cui i Savoia conferirono il diritto di fregiarsi del titolo di Principe.

Nacque così il Principato di Lucedio, denominazione che appare ancora adesso sul portale d’ingresso della tenuta, oggi della famiglia Cavalli d’Olivola.