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Una strana pietra, molto usata nell’alto Medioevo…

Il serpentino verde è una pietra ornamentale e da costruzione utilizzata nell’edilizia ma anche come pietra d’arredo poiché possiede caratteristiche fisiche ed estetiche che lo rendono adatto in entrambi gli usi.

Tra le caratteristiche fisiche ci sono il basso assorbimento d’acqua (quasi nullo), l’elevato carico di rottura, la resistenza agli agenti chimici e atmosferici, grande refrattarietà.

Una delle varietà di serpentino più note è quella di Prato, che ricavava le pietre per le sue architetture dai colli e monti dei dintorni, come il calcare alberese, con tonalità che variano dal bianco al grigio, proveniva dalla zona di Figlie, Retaia, Le Lastre, oltre che dal letto del fiume Bisenzio, i cui ciottoli calcarei furono impiegati per le mura medievali della città.

Ma quanto a pietre, il nome di Prato è legato alla serpentina del Monte Ferrato, spesso nota come verde di Prato, la cui diffusione fu molto più vasta dell’ambito cittadino, ricca dei diversi toni del verde, dal chiaro al quasi nero, o anche presentare delle screziature tra il giallo e il verde, che l’hanno fatta definire la pietra ranocchiaia.

Le cave più antiche, le sole da cui nel Medioevo si ricavasse la pietra, sono al Pian di Gello, sulle falde orientali del Monte Piccioli.

La fortuna artistica del verde di Prato coincide con la fioritura dell’architettura romanica toscana, e di quella fiorentina in particolare, dove il serpentino di Prato appariva alla civiltà che ricercava le sue radici nel mondo classico, come una pietra che per cromia e nobiltà di aspetto ricordava quegli antichi marmi.

Tra l’XI e il XII secolo nella  bella e grande  Firenze sono caratterizzati da un rivestimento in marmo bianco e verde di Prato: il Battistero, la Basilica di San Miniato, la facciata incompiuta della Badia Fiesolana.

A Prato esso segna con vivace effetto di fasce bicrome l’accesso al Castello dell’Imperatore, la facciata e i portali del Duomo, di San Francesco e di San Niccolò.

A Firenze il serpentino continua la sua fortuna anche in epoca gotica, nelle fiancate e absidi di Santa Maria del Fiore e nel campanile di Giotto e nell’architettura fiorentina del Quattrocento si riconosce, nei monumenti romanici di marmo e serpentino, quell’ispirazione classica che guidava la cultura dell’umanesimo, poi il classicista Leon Battista Alberti ripropone, nella facciata di Santa Maria Novella, un concetto marmoreo a intarsio di antica tradizione e a Prato ricompare nel rivestimento esterno di Santa Maria delle Carceri, iniziata nel 1485 in forme di rigorosa classicità.

Il Cinquecento vede la realizzazione di complesse composizioni di marmi policromi, tagliati in sezioni irregolari per formare il disegno d’assieme di pavimenti, pannelli parietali, uniti alla voga dei marmi archeologici del mondo antico e delle pietre dure, poi la concorrenza di tanti materiali vedrà il serpentino relegato in ruoli marginali.

Sarà l’Ottocento romantico a riproporlo nei maggiori monumenti fiorentini, ispirati ai modelli ammirati dall’architettura medioevale, come la neo-gotica facciata di Santa Croce e soprattutto la facciata di Santa Maria del Fiore, il Duomo di Firenze, inaugurata nel 1887.