Venezia ospitò le prime rappresentazioni teatrali già nel Quattrocento, tra i saloni nobiliari, i cortili dei monasteri e le sale parrocchiali.

Nel 1542 nel Palazzo nobiliare dei Gonella, in San Giobbe, l’architetto Giorgio Vasari progettò un salone, dove fu rappresentata una commedia di Piero Aretino e nel 1565, Andrea Palladio ideò invece il primo vero teatro, una costruzione in legno posizionata nel cortile del Convento della Carità, oggi le Gallerie dell’Accademia, di cui purtroppo non rimane traccia.

Tra il 1580 e il 1581, nel Monastero della Carità, a pochi passi da Rialto venne costruito il primo teatro in pietra, il Teatro di San Cassiano, una costruzione di forma ellittica con due ordini di palchetti e logge. Ospitò la compagnia dei Confidenti di Giovanni Pellesini.

Nel 1569 il teatro fu distrutto da un incendio, i proprietari, i nobili Tron, fecero costruire nella stessa contrada il Teatro Nuovo di San Cassiano nell’occasione del carnevale del 1637 per la prima volta il pubblico pagò un biglietto per assistere ad Andromeda di Benedetto Ferrari.  Unendo in un solo luogo, tutto quanto era lo spirito veneziano, ingegno, spirito d’impresa e amore per l’arte e il bello.

Il San Cassiano donò così l’opera pubblica al mondo. Fu un vero e proprio atto storico, in piena epoca barocca diede, infatti, il via a una diffusione  internazionale del genere operistico. Venezia che era già al tempo centro di cultura e scambi internazionali e meta dei maggiori artisti del tempo, ebbe così un’ulteriore spinta in avanti, diventando capitale dell’opera, e il Teatro San Cassiano fu acclamato, come il primo teatro d’opera pubblico al mondo, la culla del melodramma.

I nobili si contendevano il palco più prestigioso, e i migliori compositori del tempo come nel 1658 quando venne ingaggiato Francesco Cavalli, “maestro di cappella” a San Marco.

Luoghi di svago, oltre che di produzione e sperimentazione d’avanguardia, i teatri veneziani non ebbero vita facile, anzi subirono sia censure religiose sia politiche, rischiando spesso la chiusura.
Nonostante i tentativi di boicottaggio, alla fine del Seicento a Venezia si contavano 14 teatri, che un secolo dopo erano una ventina.

Il più grande era quello di San Giovanni Grisostomo, oggi noto come il Malibran, voluto dalla nobile famiglia dei Grimani, ma tutti i teatri erano retti dalle importanti famiglie patrizie veneziane, come i Tron, i Vendramin e i Malipiero.

A differenza delle altre capitali europee dove i teatri erano decentrati per il timore di un incendio, quelli veneziani erano in centro città, sorgevano lungo le rive del Canal Grande, e tutti portavano il nome della vicina parrocchia.

Il San Cassiano continuò la sua attività di successo con prime importanti di opere di Claudio Monteverdi, di Francesco Cavalli, di Francesco Sacrati e dei più grandi compositori del tempo.

Nel Settecento, il teatro attraversò diverse crisi, che portarono a una chiusura nel 1755. Venne sottoposto a un restauro radicale, sotto la visione dell’architetto veneziano Francesco Bognolo. Venne riaperto solo nell’autunno del 1763 ma a causa della posizione periferica del tempo, diventò mal frequentato in pochi anni. Seguì l’inesorabile declino, seguendo le sorti della Serenissima Repubblica, fino alla chiusura imposta dai francesi nel 1804 e la demolizione nel 1812.

Oggi grazie a Paul Atkin, noto imprenditore e musicologo inglese, il Teatro di San Cassiano sta tornando a vivere, grazie a importanti collaborazioni con l’Istituto di Studi Vivaldiani della Fondazione Cini, il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, il Globe Theatre di Londra e il Teatro del Castello di Český Krumlov.

Nel 1999 Atkin, mentre assisteva a Londra, alla rappresentazione teatrale del Giulio Cesare di Shakespeare, s’incuriosì all’ambientazione veneziana e apprese cosi dell’esistenza del Teatro di San Cassiano a Venezia.

Il lavoro è stato lungo ma il gruppo di lavoro di Paul Atkin ha ricostruito l’arco di proscenio, le colonne composite laterali e la facciata superiore con lo Studio Secchi Smith di Londra, che ha lavorato sui disegni predisposti dal progettista dello Shakespeare’s Globe Theatre di Londra con la supervisione storica dell’architetto Roberta Pellegriti e le ricerche d’archivio di Silvia Noca.

Il progetto di ricostruzione ha avuto anche l’appoggio dell’Amministrazione Comunale, per una ricostruzione che cercherà di essere la più fedele possibile, con 20 metri di larghezza per 30 metri di profondità, una capienza di 405 persone, palchetti larghi un metro e una platea di sei file.