Sono ormai passasti 52 anni, dal pauroso incidente dell’otto maggio del 1967, che sul circuito cittadino di Montecarlo, pose fine alla carriera e alla vita di Lorenzo Bandini, pilota rimasto nell’immaginario collettivo, rappresentante di quella Formula 1, meno ricca, meno tecnologica, certo più umana, certo più pericolosa.

I piloti erano forse più vicini alla normalità, niente tute ignifughe, scritte pubblicitarie, i pit-stop non erano previsti, cappellini indossati subito dopo il casco, per la vittoria ricevevano l’omaggio di una corona d’alloro.

E’ in questo periodo che si snoda la vicenda di Lorenzo Bandini, forse uno dei piloti italiani più amati dal pubblico, per il suo carattere gentile, disponibile, generoso e sempre pronto ad aiutare.

Bandini era nato nel 1935 a Barce, in Libia, colonia italiana, dove il padre Giovanni commerciava in macchinari agricoli.

Quando la madre, rimasta vedova, nel 1945, tornò a Reggiolo, Lorenzo cominciò a frequentare l’officina di Elico Millenotti, appassionando alle auto e alla meccanica.

Ma l’incontro più importante avvenne alla fine del 1951 con Goliardo Freddi, proprietario di un’avviata officina in via Plinio 74, il “Garage Rex”. Questo sarà un incontro che ne segnerà la vita, infatti Lorenzo si innamorerà della figlia Margherita che sposerà nel 1964.

La vita di Bandini si snoda in quell’angolo di Milano, una città che cresce tumultuosa giorno dopo giorno. Una delle poche digressioni concesse sono i giri in macchina. Ci sono le corse in autostrada su quella Milano – laghi, ancora senza il traffico di oggi, senza limiti di velocità, percorsa spesso e volentieri a tavoletta.

Appoggiato dalla famiglia Freddi, si concentra sulla Formula 1, con la speranza di diventare un pilota della scuderia Ferrari, ma sulla sua strada nel 1961 trova l’amico Giancarlo Baghetti, anche lui milanese, ma di famiglia altolocata, che gli soffia il posto.

Bandini, è comunque tenuto d’occhio e Mimmo Dei, patron della Scuderia Centro Sud gli propone di correre in Australia e in Nuova Zelanda oltre ad un contratto di Formula Uno con una Cooper-Maserati.

L’esordio nella massima formula avvenne nel 1961 a Pau quando arrivò terzo assoluto.

Nel 1965 Bandini vinse la Targa Florio in coppia con Nino Vaccarella, in Formula 1 un secondo posto al GP di Monaco lo condusse in sesta posizione a fine stagione con 13 punti.

Anche l’anno seguente Lorenzo partì bene ma dopo un secondo posto a Monte Carlo e un terzo posto in Belgio la sfortuna si abbatte su di lui, costringendolo al ritiro più volte, nella stagione vide la linea del traguardo solo in due occasioni, quando la sua monoposto non ebbe guasti da impedirgli di proseguire la corsa.

Nell’annata corre anche con la Dino Ferrari, in coppia con Eugenio Scarfiotti, nella sport prototipi. Giunge secondo alla 1000 km. del Nurburgring, quinto alla 12 Ore di Sebring, decimo alla 1000 km. di Monza.

Nonostante sia già un pilota affermato, quando non si allenava Bandini era sempre nell’officina di famiglia via Cavezzoli a lavorare, a testare le macchine dei clienti ed era cosa usuale vederlo rombare fuori dal garage, per imboccare via Padova.

Nel garage si affollavano spesso ragazzini e non solo, ad ascoltare i racconti di Lorenzo sulle “corse” e carpire i segreti della meccanica, di cui conosceva ogni particolare.

All’inizio della stagione 1967, Bandini vinse la 24 Ore di Daytona in coppia con Chris Amon e ad aprile, l’atteso successo in “casa”, conquistando la 1000 km di Monza. Enzo Ferrari decise di dargli la prima guida in Formula 1 e dopo aver saltato il primo appuntamento in Sudafrica la scuderia si presentò a Monaco più risoluta che mai. In particolare Bandini, dopo aver conquistato due volte, la seconda piazza.

La Ferrari, con il numero 18 era in pole subito dopo l’australiano Jack Brabham. Lorenzo partì fortissimo, ma in quel momento il pilota australiano ebbe un grave cedimento al motore e, invece di ritirarsi subito, tentò di arrivare ai box, finendo per inondare d’olio l’intera pista.

Quella macchia fu vista da tutti i piloti, tranne Bandini, giunto in testa, che inconsapevole del pericolo, aveva un’andatura velocissima, e dopo i tre chilometri del primo dei cento giri previsti un vantaggio di un secondo e mezzo sul primo inseguitore.

Non vedendo la macchia d’olio, Lorenzo perse il controllo della Ferrari, che fece un giro su se stessa, ma non si spense e il pilota italiano, quando la vettura si fermò senza aver urtato le protezioni e completamente integra, la riportò in assetto di gara.

Nel frattempo erano passati Denny Hulme e Jackie Stewart e il ferrarista dovette ripartire in terza posizione, dando vita a un inseguimento rabbioso, che ebbe conseguenze devastanti sui riflessi di Bandini.

Al 43° giro, il motore di Stewart cedette, e il britannico fu costretto al ritiro, Bandini era secondo, ma la lotta con Hulme sembrava persa, poi al 61° giro il distacco fu ridotto a 7,6 secondi, ma poi tornò inesorabilmente ad aumentare.

Tra il pilota in prima posizione e il ferrarista giravano infatti Pedro Rodríguez e Graham Hill, il primo fu agevolmente superato, ma tra l’inglese e Bandini non correva buon sangue, poiché nel Gran Premio del Messico di tre stagioni prima, l’italiano aveva tenuto dietro la sua vettura Hill, in lotta per il mondiale, allo scopo di favorire l’altro ferrarista John Surtees.

Per due giri, il duello andò avanti, poi finalmente la Ferrari 312 compì il sorpasso, ma il distacco da Hulme era ormai salito a 20” e a Lorenzo non restò che tentare il tutto per tutto.

All’uscita del tunnel che dal Portier conduce al porto di Montecarlo, c’era una chicane, destinata a rallentare le auto ma Bandini, probabilmente stanco vi arrivò troppo veloce, così l’urto contro una bitta per l’ormeggio dei natanti fu inevitabile.

L’auto prese fuoco immediatamente, una gomma si staccò e le balle di fieno sistemate per attutire eventuali urti alimentarono le fiamme, l’incendio divampò altissimo.

A centinaia di chilometri di distanza, Enzo Ferrari, davanti al televisore, capì immediatamente che quel rogo stava distruggendo una sua vettura, e che lì c’era il suo pupillo Lorenzo Bandini.

Sul circuito, nei primi istanti, nessuno ebbe la percezione del dramma e tutti credevano che il pilota fosse stato sbalzato in mare ed era illeso, com’era successo ad Alberto Ascari proprio in quel punto nel Gran Premio del 1955.

I soccorsi erano cosi carenti, al punto che i vigili avevano tute non ignifughe, mentre gli estintori erano poco potenti e passarono tre minuti e mezzo, prima che qualcuno potesse avvicinarsi alla carcassa ancora fumante, dove si stava consumando la tragedia di Bandini.

Tra i primi ad avvicinarsi e portare i soccorsi due personaggi del jet-set amici di Bandini, posizionati proprio come per presagio in quel punto. Juan Carlos di Borbone, futuro Re di Spagna e Alexander Onassis con loro anche l’amico di sempre Giancarlo Baghetti. Furono proprio loro con la loro azione a dare la scossa ai soccorsi, fermi, senza sapere cosa fare esattamente.

Lorenzo venne estratto dall’abitacolo ancora vivo, ma con ustioni estese sul 60% del corpo, morì il 10 maggio, dopo settanta ore di terribile agonia seguita con apprensione dai giornali e telegiornali del tempo. Ai suoi funerali, svoltisi a Milano parteciparono 100.000 persone.