La festa di Halloween: una semplice americanata – come l’ha definita il governatore della Campania Vincenzo De Luca – o c’è qualcosa di più?

Quello che si sa è che fino a venticinque anni fa in Italia non lo festeggiava nessuno. Chi ha vissuto la propria l’infanzia negli anni ’70, ’80 e ’90 ricorda come ad ottobre le vetrine non fossero affatto caratterizzate da zucche, teschi e dal binomio cromatico arancio-nero.

Si trattava di un periodo commercialmente “vuoto” nel quale i negozianti, messi via i gelati, le biglie e i palloni da spiaggia, attendevano impazienti di tirar fuori gli alberi e le decorazioni natalizie.

A Venezia ci si preparava alla commemorazione dei defunti e le sole attività a registrare un’impennata erano i fioristi delle Fondamente Nuove che rifornivano chi andava al cimitero.

Si prendeva il vaporetto di linea, anzi, il “gratuìto” istituito per l’occasione e si raggiungeva l’isola di San Michele per visitare zii, nonni e bisnonni. Il periodo era caratterizzato da nebbia, umidità e tanto silenzio: le tinte grigie dell’autunno erano rotte soltanto dal rosa-giallo-marrone delle “fave dei morti”, i dolcetti a base di mandorle che capeggiavano nei panifici.

Halloween” esisteva solo nei film americani e aveva la stessa valenza del “giorno del Ringraziamento”, del “Columbus Day” e della “Festa di San Patrizio”. Un riferimento alla “notte delle streghe” lo si trovava nelle strisce dei Peanuts dove Linus aspettava il “The Great Pumpkin”, la cui traduzione in “Grande Cocomero” lasciava intendere la nostra estraneità alla vicenda.

A sdoganare la “notte delle streghe” fu probabilmente il film “Nightmare before Christmas”, giunto in Italia nel 1994 e che stuzzicò i bambini con un’inedita quanto affascinante atmosfera “dark”. Fino a quel momento ci si “vestiva” solo a Carnevale: qualcuno si camuffava da mummia, Dracula o “Frankenstein” ma a prevalere erano sempre i colori, i coriandoli e l’allegria.

Iniziarono così le prime “feste a tema” organizzate da mamme che, pur di mostrarsi moderne, scimmiottarono quanto visto al cinema intagliando zucche e decorando le case con ragnatele e pipistrelli di plastica. I trucchi e i costumi di Halloween superarono per popolarità quelli carnevaleschi e si iniziarono a vedere genitori che accompagnavano i figli a suonare i campanelli delle case gridando “dolcetto o scherzetto”.

Una volta cresciuti, i bimbi svezzati con la “notte delle streghe” fecero diventare la vigilia del 1 novembre un momento di trasgressione trasformandola in business anche per locali e discoteche.

Il Codacons ha stimato che la festa di Halloween muove in Italia almeno 300 milioni di euro così ripartiti: 150 milioni per feste ed eventi, 90 milioni per maschere e travestimenti, 45 milioni di euro per gadget, 15 milioni per le zucche in qualsiasi variante.

Ma quando tutto faceva propendere per la più commerciale delle americanate, qualche anno fa il colpo di scena: una donna anziana si fermò proprio davanti a una zucca luminosa posta fuori da un negozio. E con lo sguardo che sembrava perdersi tra i ricordi confessò: “anche io da piccola intagliavo le zucche e ci mettevo dentro la candela: era per la festa dei morti”.

Una turista americana? No, una signora locale cresciuta a Robegano (VE) a cavallo tra le due guerre mondiali. Ed ecco che Halloween assume tutt’altre tinte: sembra che prima di trasferirsi negli States l’usanza celtica esistesse anche in Veneto dove perdurò fino agli anni ‘30/’40 per poi estinguersi.

Ma la donna non aveva memorie precise, probabilmente della festa ha vissuto solo gli ultimi strascichi. Ed è solo facendo ricerche che si scopre che, secondo la tradizione, le zucche intagliate con la candela accesa si chiamassero “lumèra”, o “suca dei morti” e servissero per illuminare la strada alle anime dei defunti “ma anche – come ha detto il governatore del Veneto Luca Zaia – a spaesare quelle dei morti più dispettosi”.

Era consuetudine lasciar loro pane e vino sul tavolo o sul davanzale: da qui la nascita di numerosi dolci tra i quali “il pan dei morti”, “gli ossi da morto” e le stesse “fave” che pare venissero distribuite ai funerali già ai tempi dell’antica Grecia.

Secondo una leggenda questi dolci (o, in alternativa, frutta secca) venivano dati ai cristiani che vagabondavano di casa in casa e “contraccambiavano” con una preghiera in suffragio dei loro defunti. Un’usanza dalla quale sarebbe poi originato il più commercialedolcetto o scherzetto”.

Non solo: sembra che in Veneto – in particolare nel Veronese – tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre fosse consuetudine “spaventare” i vicini portando in giro una zucca issata su un bastone e coprendo il resto del corpo con un tabarro. Verona In riporta che i “cortei terrifici” chiamati “Lumiere” fossero composti generalmente da tre persone.

Gli altri due “che non portavano una vera e propria maschera sul viso” ma “potevano disegnarsi dei baffi per rendersi meno riconoscibili” avrebbero indossato “dei tabarri scuri e un cappellaccio nero in testa”.

Ma di tutto ciò la signora non sapeva o ricordava nulla, di certo non metteva il lume nelle zucche perché l’aveva visto nei film, nelle pubblicità o per “essere alla moda” bensì per onorare un’usanza tramandata dai genitori, dai nonni e dai bisnonni. Men che meno si vestiva da strega o da vampira per festeggiare con le amiche.

Zaia ha già ricordato: “Halloween in Veneto è sempre esistito: non perdiamo le tradizioni”. Ma quale Halloween dovremmo celebrare? Quello commerciale – che ci è tornato di riflesso dagli Stati Uniti – o quello nostro, che rende omaggio ai defunti e che negli ultimi anni si era completamente perso?

Dimenticavo: la signora che metteva la candela nelle zucche era mia nonna.