Si procede a passi spediti verso lo smantellamento del primo reattore nucleare di ricerca italiano, presso il centro JRC di Ispra (ex Euratom), che non ha mai prodotto energia ma è stato utilizzato esclusivamente a scopo di sperimentazione.

Le operazioni di decommissioning del reattore Ispra-1 sono programmate in tre fasi: attività preliminari, smantellamento del reattore e bonifica finale del sito. Lo smantellamento durerà nel complesso una decina di anni per un costo totale che si aggira intorno ai 60 milioni di euro.

Entro gennaio 2020, dopo l’ok da parte della società di controllo, Isin, verrà avanzata dalla Sogin (la società di Stato che si occupa di questo tipo di attività, oltre che della gestione dei rifiuti radioattivi, ndr) l’istanza di smantellamento.

Sogin si incaricherà dello smaltimento del reattore Ispra-1 che si trova all’interno del centro di ricerca di JRC di Ispra, in provincia di Varese, dove lavorano 1.500 scienziati di tutta Europa.

Il centro JRC (Joint Research Centre), è l’ex Euratom, sorto a partire dagli anni 50, occupa un’area vasta immersa nel verde, tra il lago di Monate e il Maggiore.

Con l’istituzione nel 1957 della Comunità Europea dell’Energia Atomica (CEEA), il Centro di studi nucleari di Ispra fu ceduto dall’Italia, per un periodo di 90 anni, alla stessa CEEA nel 1959, mentre il reattore Ispra-1 fu affidato alla gestione dell’EURATOM a partire dal 1 marzo 1963.

Si tratta di un reattore termico eterogeneo costruito fra il 1957 e il 1958 dal Consiglio nazionale Ricerche Nucleari (l’attuale Enea), l’ultima versione della serie Chicago-Pile research reactors sviluppata da Enrico Fermi, che è rimasto in attività fino al 1973.

Di fatto non ha mai prodotto energia ma è stato utilizzato per studi e ricerche sulla fisica del nocciolo, su nuovi materiali per la costruzione dei reattori commerciali, sui flussi neutronici e sulle loro interazioni con la materia vivente, ed ha avuto un ruolo nella formazione di una nuova generazione di tecnici per i programmi nucleari europeo e italiano.

Lo smantellamento prevede che tutti i pezzi contaminati vengano conservati in sicurezza, stoccati adeguatamente (nel caso di Ispra, in un’area identificata all’interno del centro), in attesa che lo stoccaggio permanente avvenga poi in un sito a livello nazionale.

Il programma prevede lo smontaggio e la riduzione in parti della parte esterna, quindi il riempimento di blocchi di cemento con le varie parti ricavate: il tutto per garantire la sicurezza, visto che il volume di ogni parte dismessa, occuperà uno spazio molto maggiore di quello inziale. I sarcofagi di cemento che conterranno i pezzi radioattivi, riceveranno solo il materiale dell’Ispra -1.

Dopo l’incidente di Chernobyl e il referendum che mise al bando il nucleare in Italia, vennero fermate anche le centrali che si occupavano principalmente di ricerca, come il Ccr di Ispra, e non di produzione di energia.

Continua così l’opera di smantellamento di un ulteriore impianto nucleare italiano, dopo le quattro centrali nucleari – Trino, Caorso, Latina e Garigliano – e i cinque impianti di ricerca legati al ciclo del combustibile – Eurex di Saluggia, Fn di Bosco Marengo, Opec e Ipu di Casaccia e Itrec di Rotondella.

In Italia ci sono attualmente più di venti depositi nucleari temporanei distribuiti ovunque. Contengono il cobalto60 della diagnostica ospedaliera e degli usi industriali, il pericoloso americio dei rilevatori di fumo di vecchia concezione, l’uranio che si usava come inconsapevole contrappeso dei soprammobili degli anni 60, le teste ionizzanti dei parafulmine.