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Una storia affascinante, che lega la vita di Alessandro Manzoni a quella del Lago Maggiore del primo Ottocento….

Dopo quattro anni dalla morte della prima moglie Enrichetta Blondel, madre di dieci figli, lo scrittore Alessandro Manzoni si risposò il 2 gennaio 1837 con Teresa Borri Stampa, donna esile e graziosa, che aveva sposato, a diciannove anni, il conte Stefano Decio Stampa, discendente da una famiglia di origine francese.

Nel 1819 i coniugi Stampa si trovavano a Lesa, nella villa di famiglia prospiciente il lago, quando il conte Stefano ebbe un primo sbocco di sangue, ma si curò con dieta e salassi, mentre Teresa era incinta.

Il 23 novembre 1819 la contessa diede alla luce un bambino, Giuseppe Stefano, mentre il padre era a Parigi in visita alla suocera.

Al ritorno del conte la sua salute peggiorò e andò con il bambino a Lesa per respirare l’aria pura del suo lago.

Quando Teresa lo raggiunse, Stefano Decio non aveva nemmeno la forza di camminare ed era condotto dai domestici su una portantina sulla riva del lago, per vedere il golfo di Lesa, da lui tanto amato.

Il conte morì nel dicembre 1820 e la giovane vedova fece erigere nell’atrio della villa un cippo in marmo nero di Varenna, come omaggio al defunto.

Nel suo testamento Stefano aveva diviso il patrimonio in parti uguali tra moglie e figlio, assegnando una pensione alla madre Julia, che però fece causa a Teresa.

Finalmente nel 1822 Teresa ebbe una parte dell’eredità e in estate raggiunse Lesa con Stefano, malgrado una parte della villa fosse occupata dai marchesi Caccia Piatti, parenti degli Stampa, che le impedivano di godere della bellezza del giardino.

Dopo il suo matrimonio con Manzoni, Teresa per alcuni anni non andò sul Lago Maggiore, ma nel 1838 Stefano, che non amava vivere in via Morone a Milano, dove erano i Manzoni, e nemmeno a Brusuglio, dove lo scrittore aveva la villa ereditata da Carlo Imbonati e la sua coltivazione di bachi da seta, decise di vivere nella villa di Lesa.

In seguito Teresa arrivò per la prima volta a Lesa con Alessandro nel luglio 1839 e lì la contessa si trovò a suo agio, mentre a Brusuglio spesso aveva visto che l’estate portava una fortissima afa. Malgrado la predilezione per il Lago Maggiore, Teresa lasciò libero il marito di andare e venire anche da Brusuglio, dove nel cimitero riposavano la prima moglie e le figlie.

Stefano, di carattere spesso allegro, era un ragazzo smemorato e trasandato nel vestire, oltre ad essere uno sperimentatore, amava dipingere paesaggi e s’interessava di magnetismo e di dagherrotipia.

A Villa Stampa Manzoni aveva una stanza con vista sul lago, dotata di un lavabo a colonna e di lussuosi pavimenti di legno, dove oggi c’è la Sala Manzoniana, era l’abitazione del fattore Enrico Rovera.

Nella grande stanza c’era un pianoforte che veniva utilizzato ogni tanto dal figlio del fattore, Federico, che aveva imparato da autodidatta a suonare.

Il giardino della villa conteneva una limonaia, che produceva i frutti anche d’inverno, e vi era coltivato il cotone a uso ornamentale.

Spesso venivano a fare visita a Manzoni nella villa ospiti come il conte Cavour, Giovanni Berchet, Giulio Carcano, l’abate Rosmini, Nicolò Tommaseo e Massimo d’Azeglio.

Teresa Stampa morì il 23 agosto 1861 e fu sepolta nel cimitero di Lesa, un evento che spinse lo scrittore a non tornare più sul Lago Maggiore.

Quando il 22 maggio 1873 anche Alessandro Manzoni morì, Stefano cercò di non tornare a Lesa, che gli ricordava la sua felicità passata e nel 1887 sposò la sua amante, la cameriera Elisa Cermelli, vivendo con lei nella sua villa di Torricella d’Arcellasco, in Brianza.

Dopo la morte della moglie nel 1904, Stefano si ammalò di diabete e, diventato cieco, entro in causa con il comune di Lesa, al punto che fece spostare le salme della madre e del padre dal cimitero e costruì la tomba di famiglia a Torricella d’Arcellasca.

Stefano Manzoni morì nel febbraio 1907 e la villa di Lesa fu acquistata nell’aprile del 1926 dalla Martina Tadini Cengia, figlia di Giacomo Antonio Tadini, uno dei primi amici di Manzoni a Lesa, poi nel 1950 fu ceduta alla Banca Popolare di Novara.