Uomo tormentato e sensibile, per tutta la vita Eugene O’Neill raccontò le inquietudini dell’America del primo Novecento nei suoi drammi, ancora attuali oggi.

Fu premiato con il Nobel nel 1936. “Per la forza, l’onestà e le emozioni profondamente sentite dei suoi lavori drammatici, che incarnano un concetto originale di tragedia”.

Nato a New York nel 1888, O’Neill era il primogenito di un noto attore, che lo iniziò precocemente al teatro e a una vita nomade.

Dopo gli studi in rigide scuole cattoliche, lo scrittore frequentò per un anno Princeton che lasciò per sposarsi, nel 1909 partecipò a una spedizione esplorativa in Honduras, un anno dopo s’imbarcò come marinaio e navigò tra Buenos Aires, Sudafrica, Inghilterra, Stati Uniti.

Conclusa l’esperienza del mare O’Neill fu attore con il padre e cronista in un giornale di provincia nel Connecticut, ma nel 1913, minato dalla tubercolosi e dall’alcol, fu ricoverato in sanatorio dove lesse Dostoevskij, Strindberg, e Conrad.

Nel 1916 si stabilì a Provincetown, dove furono rappresentati i suoi primi drammi, In viaggio per Cardiff (Bound east for Cardiff, 1916), Il lungo viaggio di ritorno (The long voyage home, 1917)e La luna dei Caraibi (The moon of the Caribbees, 1916).

Con il dramma in tre atti Oltre l’orizzonte (Beyond the horizon, 1920), basato sul conflitto tra avventura e norma, sogno e veglia, lo scrittore ottenne il premio Pulitzer e da allora la sua esistenza, tra divorzi, nuovi amori e tragedie familiari, s’intersecò con l’attività teatrale e la sperimentazione tecnica.

Le tecniche dell’espressionismo si combinarono con motivi o materiali darwiniani del naturalismo in L’imperatore Jones (The emperor Jones, 1920) e Lo scimmione (The hairy ape, 1922), drammi su due diverse concezioni del primitivo e del selvaggio, in Tutti i figli di dio hanno le ali (All God’s chillun got wings, 1924) e Desiderio sotto gli olmi (Desire under the elms, 1924).

In Il grande dio Brown (The great God Brown, 1926) le maschere simboleggiano il paganesimo di cui è imbevuto il materialismo, mentre Strano interludio (Strange interlude, 1928), lungo dramma sulle frustrazioni di una famiglia, è caratterizzato dalle battute a parte, che traducono scenicamente il flusso di coscienza della narrativa contemporanea.

Nella trilogia Il lutto si addice a Elettra (Mourning becomes Electra, 1931) al fato greco si sostituisce il destino dell’uomo moderno, scandito dalla psicoanalisi in una famiglia della Nuova Inghilterra, in cui i codici repressivi scatenano, durante la guerra civile, l’impulso all’autodistruzione.

La storia vede il generale Ezra Ammon, tornato a casa alla fine della guerra, ucciso dalla moglie Christine, che l’ha tradito con il capitano Brant, spasimante della figlia Lavinia, ma il generale avverte la ragazza,  poco prima di morire, di essere stato avvelenato.

In seguito Christine cerca di convincere Orin, fratello di Lavinia, che la sorella è impazzita ma Lavinia riesce a dare la prova delle colpe materne.

Orin uccide Brant e Christine si uccide, poi i due fratelli partono per un viaggio nei Mari del Sud. Ma, se Lavinia vorrebbe andarsene e sposarsi, Orin si suicida non potendo più sopportare il rimorso. Alla fine Lavinia passerà il resto della vita nella casa di famiglia.

Nel 1936 O’Neill ricevette il Nobel e in seguito il drammaturgo visse un lungo silenzio interrotto solo da Arriva l’uomo del ghiaccio (The iceman cometh, 1946), inizio dell’ultima stagione, che gli permise di decifrare le potenzialità mitiche dell’America contemporanea alla luce di Freud e di Nietzsche.

Eugene O’Neill morì a Boston nel 1953, solo, in una stanza d’albergo, vittima dell’alcool e amareggiato dalle scelte della figlia prediletta Oona, che aveva sposato pochi anni prima il grande attore e comico Charlie Chaplin.