Dopo l’inverno trascorso nel recinto di Pian delle Noci a Lanzo d’Intelvi, foraggiati, accuditi e coccolati dai volontari, i cavalli del Monte Bisbino stanno aspettando di tornare sulle pendici del Monte Generoso. 

La transumanza del branco sarebbe dovuta avvenire verso la fine di aprile, ma la grave emergenza sanitaria delle ultime settimane ha fatto rimandare il tutto a data a destinarsi.

I cavalli del Monte Bissino sono diventati ormai una vera e propria istituzione in Insubria e non solo. Una storia particolare, tra natura e libertà sui monti tra comasco e luganese. La potremmo definire una storia transfrontaliera, di quelle de sfroos a tutti gli effetti, perchè le zone sono proprio queste. La storia di questi cavalli nasce nel 2002, quando il branco venne abbandonato a se stesso sul Monte Bisbino, alla morte del proprietario, e poi “adottato” negli anni successivi, non senza problemi, da un gruppo di volontari italo-svizzeri.

La vetta del Bisbino si trova in territorio italiano, a 1325 metri di quota a picco sul Lago di Como, proprio sopra Cernobbio. Una cima che è sempre stata territorio di frontiera, per uomini e animali, fin dai tempi antichi. Domina tutto il ramo comasco del lago, la valle d’Intelvi, le vette svizzere, fino ai 4.000 vallesani e bernesi, il Varesotto con il Monte Rosa e tutta la pianura padana, concedendo una vista infinita e splendida nei giorni tersi.

Qui si trovano ancora i resti delle postazioni della “Linea Cadorna”. La strada, nel tratto compreso tra il cimitero di Rovenna e la vetta, fu realizzata proprio durante la prima guerra mondiale, nell’ambito dei lavori di realizzazione del sistema difensivo.

La zona vicino alla vetta è circondata da un bosco di abeti, risultato di un rimboschimento effettuato negli anni trenta del secolo scorso, per una vegetazione completata da faggi secolari, boschi e alpeggi.

Questo è il territorio, dove da ormai tanti anni vive e prospera un branco di cavalli, allo stato semi-brado. Un branco ormai è noto a tutti come i “Cavalli del Bisbino” e che sono diventati una vera e propria attrazione turistica. Talmente identificati con il territorio che vengono chiamati anche “Bisbini” e “Bisbinelle”.

Il tutto nasce da un contadino di Cernobbio, Roberto Della Torre, molto legato al territorio che possedeva una decina di cavalli Haflinger, noti anche come Avelignesi. Una razza equina che deve il proprio nome al paese di Avelengo, in provincia di Bolzano. In tedesco il paese è chiamato Hafling e il cavallo è quindi conosciuto con il nome della località. Cavalli caratterizzati dal manto beige, dalla criniera e coda folta, dorata e una striscia bianca sul muso che crea un bel contrasto cromatico. Venivano utilizzati per il lavoro in montagna e dovevano essere, resistenti, robusti e potenti. Tranquilli e affidabili di carattere, si adattano anche a condizioni di vita spesso difficili come animali da lavoro o per l’utilizzo nell’esercito.

Della Torre negli anni 70, aveva creato un insediamento in località “Bocc de la campana”, appena sotto la vetta del Bisbino, partendo praticamente da zero inseguendo un suo sogno, con sacrifici, impegno, coraggio e investimenti, aveva realizzato un’azienda agricola modello con stalle e fienili.

L’allevamento era riservato soprattutto ai bovini con produzione casearia e di carne. Accanto a mucche e vitelli, Della Torre aveva poi ampliato l’allevamento con cavalli avelignesi e alcune capre. Gli animali venivano lasciati liberi a uno stato semi-brado, ma provvedeva ad accudirli in caso di necessità, in occasione d’intemperie, portando loro del fieno durante la stagione fredda.

La svolta arriva nel 2002, con la scomparsa di Roberto Della Torre. Per via di liti riguardanti l’eredità del contadino, nessuno si prese più cura dei cavalli, che finirono così per essere lasciati al loro destino, arrivando a essere completamente dimenticati o quasi. Con il passare degli anni però il branco, per la presenza di uno stallone crebbe di numero, arrivando contare anche una ventina di elementi, senza però mai lasciare il Bisbino e i suoi dintorni, riuscendo in qualche modo a sopravvivere senza l’aiuto umano.

Il cambiamento nella loro storia arrivò nell’inverno tra il 2008 e il 2009, che si rivelò particolarmente rigido, con diverse abbondanti nevicate in quota che superarono i 50 centimetri, che portarono il branco a scendere più a valle per trovare cibo e rifugio. Stranamente i cavalli si divisero due gruppi. Un primo gruppo composto da sette elementi e capeggiato da una giumenta che venne poi denominata “La Bionda” per la folta criniera dorata, sconfinò in Canton Ticino, attraverso il tracciato del Senterùn, spingendosi fino a Sagno in Valle di Muggio sul versante svizzero del Monte Generoso. Il secondo branco, formato da undici animali, guidati invece da una mula, passando da Piazzola e Pievenello scese invece dal lato italiano verso l’abitato Rovenna sopra Cernobbio.

I cavalli affamati e in cerca di riparo, si spinsero sempre di più verso le case, sia dalla parte svizzera che in quella italiana. Entravano nei parchi, nei giardini, negli orti delle abitazioni, inoltrandosi anche nel cimitero per mangiare i fiori. Con il calare della sera spesso partivano in cavalcate nel centro del paese sulle vie acciottolate, svegliando gli abitanti. Gli abitanti di Sagno e Rovrena, allertarono le autorità. Partirono così controlli. I due gruppi crearono opposte fazioni, al di qua e al di là del confine: chi voleva allontanare i cavalli a forza, non solo dai centri abitati ma anche dai pascoli e dagli alpeggi. Chi invece voleva garantire loro una vita di libertà, in quell’ambito territoriale.

Il sindaco di Sagno ordinò l’allontanamento o la cattura, preoccupato per l’incolumità dei suoi abitanti. Con il rischio che i cavalli finissero al macello su ordine del veterinario cantonale in Ticino e del guardacaccia in Lombardia.

Le Giacche Verdi (Associazione di Protezione Civile e Ambientale, volontari a cavallo) iniziarono a seguirli e proteggerli, portando fieno e acqua sulle piste battute dai due branchi. Le associazioni animaliste e ambientaliste ticinesi e comasche si mobilitarono per dare sostegno e difendere la libertà dei cavalli.

Nel frattempo da uno dei due branchi, viene espulso dal capobranco uno stalloncino, che, ormai maturo, come natura vuole, doveva cercare le proprie femmine e costituire un nuovo gruppo. Gli abitanti di Rovenna avvistato l’animale solo e spaventato, lo avvicinarono, iniziando a nutrirlo adottandolo di fatto come mascotte, chiamandolo Puppy. Girava tra i boschi circostanti e il centro abitato, poi qualcuno sollevò il problema dell’ordine pubblico. La polizia locale di Rovenna, lo fece catturare e trasferire in un’azienda agricola della provincia di Varese. Gli abitanti di Rovenna insorsero, chiedendo indietro, quello che ormai di fatto era la loro mascotte. Però una volta nella scuderia, l’animale si era adattato al quel tipo di vita e risultava difficile reinserirlo in natura.

La storia dei cavalli del Bisbino, intanto rimbalzava su tutti i giornali, locali e internazionali ed ebbe vasta eco. Arrivarono i pareri di Fulco Pratesi, presidente nazionale del WWF e dell’etologo Giorgio Celli, in cui si rimarcava come i cavalli erano diventati un’importante risorsa per il territorio, rappresentando anche una particolare varietà, e bisognava favorire la loro permanenza in situazione di semi-selvaticità, com’era ormai da anni.

Con il passare del tempo l’intera mandria venne considerata “res derelicta”, ovvero cosa abbandonata; e quindi poteva entrare a far parte a pieno regime del patrimonio faunistico dello Stato.

Un gruppo italo-svizzero di amanti degli animali li prese sotto la propria custodia, assicurando che avrebbe provveduto a monitorarli e foraggiarli durante l’inverno. Su iniziativa della ticinese Luigia Carloni, architetto a Rovio in Canton Ticino e dalla veterinaria comasca Mariachiara Lietti, nel marzo del 2010 fu fondata a Como l’associazione onlus “Cavalli del Bisbino”. Furono riuniti e foraggiati in un grande recinto proprio sotto la vetta del monte. Poi i “bisbini”, hanno trovato così rifugio stabile per l’inverno, qualche chilometro più avanti in località Pian delle Noci a 900 metri di altezza nel comune di Lanzo d’Intelvi, in via Pradale, dove a loro disposizione c’è un vasto recinto completamente attrezzato con idonei ripari e abbeveratoi. Sistemazione resa possibile anche grazie alla generosità del comune comasco che ha messo gratuitamente lo spazio a disposizione dell’associazione.

A fine aprile inizio maggio, il branco prende invece la via del Monte Generoso, con una transumanza spettacolare dal sapore antico che attraversa i paesi della Val d’Intelvi. Un percorso di diverse ore che i 22 aveglinesi compiono in compagnia dei vari soci dell’associazione, dei volontari delle Giacche Verdi e anche di curiosi, che a piedi li accompagna così nei pascoli estivi all’Alpe di Orimento, fino a Costapiatta a 1500 metri di quota, sotto la cima del Monte Generoso, dove rimarranno completamente liberi sino a ottobre, per poi fare ritorno a Lanzo d’Intelvi, per la nuova stagione fredda. Un pascolo messo a disposizione della Comunità Montana.

Durante la bella stagione, vengo organizzate visite guidate al branco, partendo dall’Alpe di Orimento, una spettacolare terrazza che dà sul lago di Lugano e la cui vista spazia su gran parte della catena delle Alpi. Il branco si può ammirare scendendo dal Generoso o salendo da Orimento, si possono incontrare i cavalli sui pascoli di Squadrina e di Pesciò, oppure scorgerli nelle pinete sotto il Baraghetto o al Barco dei Montoni.

I Cavalli del Bisbino sono sostenuti dall’attività di volontari e appassionati. Un sostegno è stato offerto dalla Fondazione ginevrina Gelbert che ha anche acquistato il trattore necessario al trasporto delle balle di fieno per l’inverno. Fondazione creata nel 2008 da Georges – Raymond Gelbert in memoria del fratello Eugène, attiva nei campi della protezione dell’ambiente e degli animali nonché in quello delle ricerche universitarie nell’ambito della vista.

Sono aiutati anche dalla fondazione ticinese Stella Chiara e dalla Fondazione Marchig dal nome del pittore ginevrino che l’ha costituita. Conta poi sulle quote di circa 500 soci”, per fare fronte alle molte spese per mantenere il branco, dal foraggio (solo per l’inverno 5 autotreni per 16mila euro di costo), ai macchinari, alle spese veterinarie, fino ai ricoveri in clinica. Mantenimento che si attiva grazie alle donazioni dei soci, alle loro quote associative, dalla vendita di gadgets vari come fotografie e calendari.