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Un attore e regista dal fascino senza tempo…

Vittorio De Sica nacque il 7 luglio 1901 a Sora, un piccolo borgo che faceva parte della provincia campana di Terra di Lavoro, dal 1927 annessa alla provincia di Frosinone nel Lazio, da Umberto De Sica, impiegato nella sede locale della Banca d’Italia, e Teresa Manfredi, casalinga napoletana.

La famiglia nel 1914 si trasferì a Napoli e, dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, a Firenze. A quindici anni Vittorio cominciò a esibirsi come attore dilettante in spettacoli organizzati per i militari ricoverati negli ospedali, poi ci fu il definitivo trasferimento a Roma.

Durante gli studi di ragioneria, grazie all’amico Edoardo Bencivenga, ebbe un piccolo ruolo in un film muto diretto da Alfredo De Antoni, Il processo Clémenceau del 1917.

Ottenuto il diploma di ragioniere, Vittorio nel 1923 ottenne una scrittura teatrale da generico nella compagnia di Tatiana Pavlova, dove rimase per due anni.

Sul grande schermo, dopo due film muti diretti da Mario Almiranti, diventò un divo tra i più richiesti dal 1932, con molte commedie interpretate con Lya Franca e Assia Noris e tutte dirette da Mario Camerini: come Gli uomini, che mascalzoni… del 1932, in cui lanciò la canzone Parlami d’amore Mariù, Darò un milione del 1935, Il signor Max del 1937 e I grandi magazzini del 1939.

De Sica fece il suo esordio dietro la macchina da presa nel 1939 grazie a un potente produttore dell’epoca, Giuseppe Amato, che lo fece debuttare nella commedia Rose scarlatte e fino al 1942 la sua produzione non si discostò dalle commedie alla Camerini, come Maddalena… zero in condotta (1940) con Carla Del Poggio e Irasema Dilian, e Teresa Venerdì (1941) con Adriana Benetti e Anna Magnani, ma dal 1943, con I bambini ci guardano, iniziò esplorare le tematiche neorealiste.

Finita la seconda guerra mondiale, il regista firmò quattro capolavori del cinema mondiale: Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), dal romanzo di Luigi Bartolini, Miracolo a Milano (1951), dal romanzo Totò il buono dello stesso Zavattini, e Umberto D. (1952), simboli del neorealismo cinematografico italiano.

Dopo questa quadrilogia, De Sica girò L’oro di Napoli (1954) tratto da una raccolta di racconti di Giuseppe Marotta, Il tetto (1956) il suo addio al neorealismo, La ciociara, del 1960, tratto dal romanzo di Alberto Moravia, l’episodio La riffa del film Boccaccio ’70 (1962), Ieri, oggi e domani (1963), Matrimonio all’italiana (1964), da Filumena Marturano di Eduardo De Filippo, e I girasoli (1970).

Nel 1972 girò la trasposizione filmica del romanzo di Giorgio Bassani Il giardino dei Finzi-Contini, storia drammatica della persecuzione di una famiglia ebrea ferrarese durante il fascismo, che ottiene l’Orso d’oro al Festival di Berlino del 1971.

L’ultimo film diretto da De Sica fu la riduzione di una novella di Luigi Pirandello, Il viaggio (1974), interpretato Sophia Loren e Richard Burton.

Vittorio De Sica morì il 13 novembre 1974 a 73 anni, dopo un intervento chirurgico per curare un tumore ai polmoni di cui soffriva, all’ospedale di Neuilly-sur-Seine, presso Parigi e nello stesso anno il collega e amico Ettore Scola gli dedicò il capolavoro C’eravamo tanto amati, sulla storia di un’Italia che cambia.